La pioggia nel pineto fa parte delle liriche di Gabriele D’Annunzio che fanno parte della raccolta Alcyone, sezione più grande dell’opera delle Laudi. La lirica venne composta fra luglio e agosto del 1902 mentre l’autore soggiornava nella villa “La Versiliana” immersa nel verde della pineta a Marina di Pietrasanta in Versilia. Il metro della lirica è libero e il tema fondamentale è quello del panismo, ovvero della fusione tra uomo e natura. In questa guida troverete un riassunto della poesia con spiegazione facile e analisi dei temi principali nonché commento di metrica, figure retoriche e stile. Veniamo al dunque.
- La pioggia nel pineto riassunto: spiegazione semplice e introduzione alla poesia di Gabriele D’Annunzio;
- Parafrasi La pioggia nel pineto strofa per strofa;
- La pioggia nel pineto commento contenuto: panismo e temi fondamentali;
- Analisi La pioggia nel pineto: metrica, figure retoriche, stile.
La pioggia nel pineto riassunto: spiegazione semplice e introduzione alla poesia di Gabriele D’Annunzio
Un riassunto della Pioggia nel pineto non può che partire da un breve cenno alla struttura generale: la poesia si divide in quattro strofe per un totale di 128 versi in metro libero. Il linguaggio è ricercato e le parole vengono usate dall’autore per creare un senso ritmico. Ricercatezza e ritmo dunque sono le parole chiave.
Nella lirica gli elementi dominanti sono quelli della natura e della musicalità. Fin dal primo verso l’autore parla direttamente: l’incipit imperativo “Taci” intima il lettore a tacere e ascoltare. I personaggi che appaiono nella lirica sono lo stesso D’Annunzio e una figura femminile, chiamata Ermione, la personificazione di Eleonora Duse, musa ispiratrice e donna amata dal poeta.
Il vero protagonista della lirica è però la natura, più precisamente, come da titolo, la pineta; qui i due personaggi vengono sorpresi da uno scroscio di pioggia estiva. L’uomo e la donna si trovano improvvisamente immersi nello spettacolo che gli viene offerto dalla natura circostante, dalle piante bagnate dalla pioggia, dagli animali risvegliati dalle gocce e dal rivivere della natura stessa. Stupefatti di fronte a queste manifestazioni naturali, si trovano lentamente catturati nel vortice di vita verdeggiante che li circonda, fino a diventare essi stessi parte vivente della pineta.
Parafrasi La pioggia nel pineto strofa per strofa
Di seguito proponiamo la parafrasi della Pioggia nel pineto. Il testo può essere un utile mezzo per iniziare lo studio della poesia o per ripetere in vista di verifiche e interrogazioni. Ogni strofa viene seguita dalla relativa parafrasi, i versi sono separati da //. Si è cercato per quanto possibile di mantenere una corrispondenza metrica tra la parafrasi e il testo originale.
Taci. Alle porte (su le soglie) // del bosco non sento (odo) // parole che dici // umane; ma sento (odo) // parole migliori (più nuove) // pronunciate (che parlano) dalle gocce (gocciole) e dalle foglie // in lontananza (lontane). // Ascolta. Piove // dalle nuvole sparse. // Piove sopra (su le) le tamerici // ricoperte di sale e seccate (salmastre ed arse), // piove sui pini // sui loro tronchi a scaglie e sugli aghi appuntiti (scagliosi ed irti), // piove sui mirti // piante sacre a Venere (divini), // sulle ginestre che risplendono (fulgenti) // di fiori richiusi, // sui ginepri carichi (folti) // di bacche profumate (coccole aulenti) // piove sui nostri volti // silvestri (silvani), // piove sulle nostre mani // nude (ignude), // sui nostri vestiti (vestimenti) // leggeri, // sui pensieri nuovi (freschi) // che la nostra anima fa nascere (schiude) // rinnovata (novella), // sui dolci sogni (favola bella) // che ieri // t’illusero, che oggi mi illudono // o Ermione.
Senti? La pioggia cade // sulla solitaria // pineta (verdura) // con un crepitio che dura // e varia nell’aria // a seconda che le fronde degli alberi // abbiano più o meno foglie (più rade, men rade) // Ascolta. Risponde // al rumore della pioggia (al pianto) il canto // delle cicale // che lo scroscio (pianto) australe // non spaventa (impaura), // e nemmeno il cielo grigio (cinerino). // E il pino // ha un suono, e il mirto // un altro suono, e il ginepro // un altro ancora, strumenti // diversi // sotto innumerevoli dita. // E siamo immersi // in questo (nello) spirito // della foresta (silvestre) // e viviamo di una vita arborea; // e il tuo volto ubriaco (ebro) // è bagnato (ebro) dalla pioggia // come una foglia, // e i tuoi capelli (chiome) //profumano (auliscono) come // le chiare ginestre, // o creatura terreste // che hai il nome // di Ermione.
Ascolta, ascolta. Il canto (accordo) // delle cicale aeree // a poco a poco // diventa più sordo // sotto la pioggia (il pianto) // che cresce; // ma un canto vi si unisce (mesce) // più profondo // che sale da laggiù // dall’umida ombra lontana (remota). // Più basso e più leggero (sordo… fioco) // si allenta, si spegne. // Solo una nota // vibra (trema) ancora, si spegne, // risorge, trema, si spegne. // Non si sente più il rumore (voce) del mare. // ma ormai si sente su tutte le fronde // scrosciare // la pioggia argentea // che pulisce (monda), // e lo scroscio della pioggia (il croscio) che varia // secondo che le fronde siano // più folte, men folte. // Ascolta. // La cicala (la figlia dell’aria) // è muta: ma la figlia // del fango (limo) lontana, // la rana, // canta nell’ombra più profonda (fonda) // chi sa dove, chi sa dove! // E piove sulle tue ciglia, // Ermione.
Piove sulle tue ciglia nere // così che sembra (sì che par) che tu pianga // ma per il piacere; non bianca // ma quasi diventata verdeggiante (fatta virente) // sembra che tu esca della corteccia (da scorza). // E tutta la vita sembra rinata in noi (è in noi fresca) // profumata (aulente), // e il cuore nel petto è come una pesca // intatta, // tra le palpebre gli occhi // sono come pozze (polle) tra l’erba // i denti nelle gengive (negli alveoli) // sono come mandorle acerbe. // E andiamo di arbusto in arbuto (di fratta in fratta) // ora insieme ora separati (congiunti… disciolti) // (e la verde forza della natura (il verde vigor rude) // ci unisce i malleoli // ci intrica le ginocchia) // chi sa dove, chi sa dove! // E piove sui nostri volti // silvestri (silvani), // piove sulle nostre mani // nude, // sui nostri vestiti (vestimenti) // leggeri, // sui pensieri nuovi (freschi) // che la nostra anima fa nascere (schiude) // rinnovata (novella), // sui dolci sogni (favola bella) // che ieri // m’illusero, che oggi ti illudono // o Ermione.
La pioggia nel pineto commento contenuto: il tema fondamentale del panismo
Il commento della Pioggia del pineto non può che soffermarsi sul tema principale, il panismo, uno dei contenuti più ricorrenti nella lirica di D’Annunzio.
La fusione uomo-natura è onnipresente all’interno della poesia, a partire dall’incarnazione di Eleonora Duse nel personaggio di Ermione, parola che si ripete con un’epifora alla fine di ogni strofa, fino alla trasformazione dei due personaggi in esseri silvestri parte vivente della pineta stessa. Vi ricordiamo che l’epifora consiste nella ripetizione di una parola non all’inizio del verso, come nell’anafora, ma alla fine (qui infatti si legge sempre Ermione).
La progressiva fusione tra uomo e natura è espressa grazie a un ricorrente uso di similitudini che andrà crescendo fino al culmine nella quarta e ultima strofa. La pineta diventa di più in più personificata, la pioggia non è più fatta di gocce ma si trasforma in “pianto australe”, i versi degli animali diventano un “canto”. E così, come la natura attorno ai personaggi prende fattezza umane, i personaggi diventano “silvani” e “verdeggianti” in una compenetrazione vitale tra uomo e natura.
Si noti la trasformazione di Ermione: non è più essere umano ma “creatura terrestre”, i cui occhi diventano “polle tra l’erbe” e il cui cuore “pesca intatta” fino a che l’intera fisionomia, un tempo umana, diventa irriconoscibile parte della pineta.
Analisi La pioggia nel pineto: metrica, figure retoriche, stile
Continuiamo con l’analisi del testo della Pioggia nel pineto soffermandoci su stile, metrica e figure retoriche.
La poesia si compone di quattro strofe con tema metrico libero: non rispetta infatti un numero preordinato di sillabe del verso e non segue uno schema fisso di rime. Nel componimento si alternano versi che variano dai ternari ai novenari, cioè versi dalle tre alle nove sillabe. In particolare tutta la costruzione poetica e la scelta del vocabolario creano una sensazione di musicalità e un intenso ritmo che trascina il lettore durante la lettura.
Il linguaggio è ricercato e raffinato e cerca allo stesso modo di creare delle sensazioni suggestive e di richiamare i sensi del lettore tramite il ricorso a evocazioni uditive, tattili e visive. Il ricorso a figure retoriche e di stile come anafore (“piove” vv. 8-12) e allitterazioni (“s, r, i” vv. 10-15), così come l’uso continuato di enjambement (“soglie/del bosco” v. 1, “odo/parole” v. 2 etc.) in ogni verso permette all’autore di giocare con la musicalità e ritmicità del componimento e rendere la poesia un unico periodo fluido, alle volte più lento e altre più veloce.
Tutta la lirica si pone come un’apostrofe a Ermione e al lettore che è costretto a tacere e a porgersi all’ascolto di “parole più nuove” non umane, più pure e naturali, e a seguire la voce della natura che li circonda.
Fin dall’incipit del testo appaiono chiari gli effetti musicali che il poeta vuole evocare. Più si entra nella poesia più aumentano gli effetti sonori e stilistici, ed è come se il lettore stesso si ritrovasse a camminare nella pineta. L’attenzione si focalizza sul rumore della pioggia, “sul croscio che varia” a seconda della pianta su cui cade, e sul concerto degli animali che uniscono le loro voci a quelle del temporale e degli elementi paesaggistici.
Così come il tema della comunione tra uomo e natura, il “motivo” musicale cresce e aumenta il suo ritmo man mano che ci si avvicina la fine della lirica. D’Annunzio accentua tale motivo con le numerose figure retoriche; si segnalano le due metafore faunistiche, “figlia dell’aria” e “figlia del limo”, per indicare la cicala e la rana, e la sineddoche “le ciglia” usata per intendere gli occhi di Ermione.
Da osservare è anche il sapiente impiego di aggettivi ricercati, e spesso latineggianti, che D’Annunzio usa per creare sia senso ritmico che esaltazione delle immagini visive.
La lirica si chiude infine con la ripresa del tema della pioggia e dell’unione uomo-natura, quasi a voler prolungare quella musicalità quasi mistica creata dall’orchestra naturale, nel mezzo della quale il poeta ed Ermione sono diventati tutt’uno con lo spazio circostante.